Storia di un bambino di strada

È una domenica calda, il sole congolese di febbraio è capace di scottare la pelle bianca in una ventina di minuti. Sto andando a comprare il pane e all'uscita dal panettiere, uno dei tanti bambini di strada che affollano i quartieri di Lubumbashi, si avvicina per chiedermi qualcosa.

Non sono abituato a dare soldi ai bambini di strada, è una cattiva consuetudine ed è una delle ragioni per cui i bambini stanno volentieri in strada. Sentono che possono guadagnare, snobbano la scuola e alcuni genitori incoscienti li incoraggiano a bighellonare per le strade alla ricerca di qualche soldo.

Si avvicina, gli dico di no e se ne va. Mi volto per vederlo partire e noto la sua andatura incerta, scalzo e con degli enormi bendaggi marci sino ai polpacci.

Lo inseguo e cerco di parlargli, ma o non ci capiamo o non vuole parlarmi, diffidente. Intanto la gente ha cominciato a dare attenzione alla nostra strana coppia. Ne aproffitto per chiedere a qualcuno di farci da tramite. Si chiama Kashala Gracia, forse ha dieci anni, forse meno, forse più.

Vive un po' sulla strada e un po' dalla nonna, i genitori sono entrambi morti. Non va a scuola.

Mi dicono che le sue gambe sono coperte a causa delle gravi ustioni causate, forse, da un vicino che ha voluto gettarlo in una buca infuocata per una presunta marachella...ma forse no, altri dicono che inseguisse giusto un pallone finito in quella buca e lui ci è finito dentro senza fare attenzione al fuoco.

Una bruttissima storia, una cosa bruttissima per un bambino solo e senza mezzi. Il rischio infezione è altissimo, l'avvenire forse è già segnato. Gli chiedo di passare l'indomani da ALBA, alcuni si offrono di accompagnarlo. Viene dopo tre giorni, accompagnato forse da una parente.

Chiedo a Paul Mwabeni, il nostro infermiere, di accompagnarlo in un centro specializzato a Lubumbashi. Così è, resterà all'ospedale solo due settimane perchè il dottore ci fa chiamare e ci dice che la convivenza è impossibile, troppo vivace per poter continuare a dormire sotto lo stesso tetto di altri malati. Ora è a casa della nonna e lo portiamo ogni due giorni all'ospedale per le cure del caso. Ma ancora adesso, ogni volta che quelle bende si staccano dalle ferite scoprono delle gambe martoriate e una sofferenza troppo troppo grande per un bambino della sua età.

Speriamo che guarisca presto e che quando sarà adulto, il ricordo di qualcuno che ha voluto occuparsi di lui, anche solo per un breve periodo della sua vita, gli terrà compagnia e lo aiuterà a crescere in serenità.


Articolo di Gabriele Salmi / 01 aprile 2014